giovedì, dicembre 08, 2005

Cina, India e informatica

Ogni giorno leggo qualche memo sul costo del lavoro nei "paesi emergenti". Mi chiedo come si possano chiamare emergenti realtà che ormai sono sopra di noi; leggo di 13.000 ingegneri sfornati ogni anno in India, leggo della presentazione del primo portatile della Lenovo (ex IBM) e mi sento circondato da persone che non si rendono conto della situazione.

Amici mi incontrano e mi chiedono se è il caso di comprare il computer ai loro figli. Non so che rispondere, rimango muto, attonito, senza parole. Come si fa a pensare che i cinesi siano solo quelli che sanno fare le nostre cose ma a costo più basso. Capisco non leggere i giornali ma almeno un po' di televisione! La Cina è nello spazio, la Cina si è comprata l'IBM. E l'India per l'informatica è anche peggio. Tanto per cominciare parlano inglese e questo dà accesso ad una quantità di informazioni non paragonabile a quella disponibile in italiano. E poi studiano! E non nella scuola della Moratti!

In un paese come il nostro che non è mai riuscito ad esportare una riga di software, dove i responsabili informatici ammettono candidamente di non capirci nulla (tanto l'importante è la stategia e la capacità di management), dove il governo investe nell'acquisto di stupidi decoder digitali per dare la possibilità agli italiani di vedere le partite di calcio a pagamento, insomma in una paese cosi la domanda da farsi è una sola.

No non è quella come fare per non farsi raggiungere: ci hanno già raggiunto. E neppure come fare per recuperare visto che nell'informatica non abbiamo prodotto nulla prima e quindi non si capisce quale speranze abbiamo ora con una competizione del genere. La mia domanda è: come sopravvivere?

Ci vorrebbe un'idea ma non mi viene in mente. Ho solo la testa piena di stupide proposte irreali simil Ciampi che ti dice che dobbiamo fare di più, ma non ti dice precisamente cosa, e un Berlusconi che, dopo aver lasciato la scuola senza soldi, ti dice che con una una bella risata le cose si sistemano.